Immaginate un paese in cui si ripete costantemente «che c’entriamo noi col fascismo» e «ma poi, anche se fosse, tanto non era una dittatura, anzi ha fatto pure qualche cosa di buono». Immaginate un paese dove il crollo del fascismo viene chiamato anche “morte della patria”, dove la Resistenza diventa un’eredità scomoda da nascondere quanto prima nella soffitta della memoria. Ecco, ora immaginate di mettere alla prova dei fatti queste parole che sono diventate quasi senso comune. È quello che fa questo breve libro ripercorrendo le ragioni per cui è necessario, ora più che mai, riprendere in mano la storia dell’antifascismo italiano e con essa le parole e le azioni di alcuni suoi protagonisti, uomini e donne del secolo scorso che dedicarono anni – e spesso decenni – a una lotta senza compromessi. Perché l’antifascismo, dalla marcia su Roma alla Liberazione, fu una risposta alla violenza di Stato, alla persecuzione, al conformismo, alla ferocia indiscriminata, al trasformismo, alla legge della fazione che aveva portato il paese alla rovina. Il fascismo era un regime assassino e criminale, che uccideva, imprigionava o costringeva alla fuga i suoi oppositori, un regime la cui “legalità” era al servizio di un progetto di annientamento e di guerra permanente, che era disposto a qualunque intrigo pur di salvare sé stesso, e che temeva la possibilità che i suoi avversari si alleassero per sconfiggerlo. E gli antifascisti cercarono di ribattere colpo su colpo, cercarono in molti modi e per strade diverse di resistere. Lo fecero con le parole, con la tenacia, con la capacità di disobbedire, con le armi, con l’intransigenza e, infine, con l’unità di azione, nella Resistenza. Quelli dell’antifascismo storico furono oltre vent’anni percorsi da un afflato etico, prima ancora che politico, che manca terribilmente nell’Italia di oggi. E che va recuperato.
L’antifascismo non serve più a niente
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